sabato 5 maggio 2012

Braccia (de)rubate in agricoltura


Braccia DErubate in agricoltura
Le otto ore che sul mercato non contano


Stasera partiamo dal riso, oryza sativa L., è un buon punto da cui iniziare a ragionare di cibo il modo globale; è il cereale che sfama metà della popolazione mondiale, il principale destinato all'autoconsumo, che sfama quindi l’umanità senza necessariamente passare per un mercato. Il riso non è quindi un prodotto che fa lievitare il PIL, indice riconosciuto della ricchezza di uno paese e della sua popolazione, ma è il cereale di base per la maggior parte delle popolazioni dei paesi in via di sviluppo. Non solo, anche in Italia e in particolare in Piemonte è tradizionalmente presente nella cultura e nell'alimentazione.

Il riso ci apre a infinite riflessioni anche in campo agroecologico, innanzitutto perchè è una monocoltura pressoché obbligata, vincolata alla presenza dell'acqua per la maggioranza delle varietà coltivate, insomma è un tipo un po’ esigente, tanto quanto invece sono adattabili i suoi parenti più selvatici che troviamo nei laghi africani come nei siccitosi altopiani del Tibet. Coltivare lui significa condizionare profondamente e permanentemente un paesaggio ed un ambiente, modificare il suolo per la lunga sommersione e modificare la biodiversità animale e vegetale dell’intera zona.


Il panorama delle risaie in alcune zone del mondo è il primo paesaggio creato dall'uomo e nelle zone più adatte è anche l'agroecosistema più duraturo e autosufficiente che accompagna la nostra storia, lo testimoniano le risaie della Cordigliera filippina, che disegnano un paesaggio immutato da più di 2000 anni e dichiarate per questo patrimonio dell'umanità dall'Unesco.

Una risaia, grazie all'ambiente umido può essere piena di vita, a patto che non si usino le ingenti quantità di erbicidi e pesticidi prodotti dall'industria chimica, il cui boom di impiego in campo agricolo inizia nel secondo dopoguerra proprio da questa coltura.

Ma per legarci al tema della serata dobbiamo approdare nelle ricche pianure irrigue del Nord Italia, prima dell'arrivo della cosiddetta “rivoluzione verde”: il massiccio arrrivo di erbicidi di sintesi chimica infatti ha segnato la fine non solo della biodiversità e complessità dell'agrosistema risaia, ma anche di un mestiere storico e importante per l'Italia come furono le MONDINE, o mondariso. Queste, lo dice il nome, erano proprio il "diserbante" dell'epoca, il loro compito, dopo aver trapiantato le piantine di riso era quello di mondare la coltura dalle erbe infestanti, riconoscendo abilmente le erbacce dalle piantine di riso ancora piccole.

Stasera parliamo delle mondine per parlare di tutti i braccianti agricoli, quelli che ancora oggi portano con il loro lavoro buona parte delle pietanze nei nostri piatti.

Storicamente il Nord Italia ha conosciuto meno del Sud il sistema dei grandi latifondi agricoli, grande eccezione a questa considerazione sono sicuramente le pianure risicole che hanno visto crearsi un sistema di proprietari terrieri sempre più grandi e potenti per la media del Nord Italia, che erano quindi in grado di richiamare moltissima manodopera stagionale, femminile in particolare.

Braccianti senza terra, donne, povere e lontane da casa, le mondine sono un esempio da manuale di classe debole, sottopagata e sfruttata ed è per queste stesse caratteristiche unite alla vita in comune e alla soldarietà tra lavoratrici che le mondine ci raccontano una storia di lotte per migliorare le proprie condizioni di vita e di lavoro.

Son la mondina, son la sfruttata
Son la proletaria che giammai tremò
Mi hanno uccisa e incatenata
Carcere e violenza nulla mi fermò

Coi nostri corpi sulle rotaie
Noi abbiam fermato il nostro sfruttator
C'è tanto fango nelle risaie
Ma non porta macchia il simbol del lavor

Ed ai padroni farem la guerra
Tutti uniti insieme noi vincerem
Non più sfruttati sulla terra
Ma più forti dei cannoni noi sarem

Questa bandiera gloriosa e bella
Noi l'abbiam raccolta e la portiam più in su
Dal Vercellese a Molinella
Alla testa della nostra gioventù

E lotteremo per il lavoro
Per la pace il pane e per la libertà 
E costruiremo un mondo nuovo
Di giustizia e di vera civiltà 
E costruiremo un mondo nuovo
di giustizia e di vera civiltà
Canti delle mondine


Ed eccoci arrivati pieni e contenti alle arance. Prendete l’arancione frutto, fatelo girare fra le vostre mani, sentirete la caratteristica pelle, ruvida, incidetela leggermente con la punta delle vostre unghie e annusate perdendovi nella vostra memoria. Ora considerate le arance, considerate molte arance considerate una moltitudine di arance. Le arance ci riportano alle terre del sud al loro calore, alla loro storia e irruente vitalità, ma ci riportano anche alla disastrosa questione meridionale e alla condizione dei braccianti stagionali, per lo più migranti, che ne sostengono la coltivazione. Le caratteristiche organolettiche li rendono un alimento utilissimo per conservare la salute umana (l’alto contenuto di vitamina C, elemento tra l'altro mantenuto grazie al grado di acidità tipico del frutto, contribuisce all'attività surrenale, aiuta a prevenire l'infarto del miocardio ed il tumore allo stomaco e contribuisce ad allentare i danni del fumo), queste qualità positive sono purtroppo controbilanciate dalla condizione di vita dei lavoratori, il cui livello di sfruttamento li priva di qualsiasi forma di sicurezza e accesso ai diritti minimi. Nella comunità europea 2 milioni di lavoratori sono occupati a tempo pieno; oltre 4 milioni sono precari-stagionali i cui 2/3 di loro sono migranti. Assaporando sbadatamente qualsiasi frutto polposo dobbiamo considerare che stiamo assaporando I conflitti esplosi nel sud Italia, e nel mondo. In particolare a Rosario nel 2010 e a Nardò nel 2011, hanno reso di dominio pubblico la condizione degli stagionali che lavorano spesso in condizioni di vero e proprio sfruttamento: scarsamente pagati, vessati da intermediari e datori di lavoro, privi di diritti e garanzie.


Da un’indagine di Medici Senza Frontiere emerge che il 90% dei migranti occupati nelle campagne del meridione non possiede alcun contratto di lavoro, trattamento riservato anche a coloro in possesso di regolare permesso di soggiorno, e non godono dunque di alcuna tutela giuridica in termini di retribuzione, infortuni sui luoghi di lavoro, previdenza sociale, tutela sindacale, prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro.

In media, la durata della giornata di lavoro degli stagionali è di 8/10 ore, per la quale la metà dei lavoratori guadagna una cifra compresa tra i 26 e i 40 euro a giornata mentre poco più di un terzo guadagna 25 euro o meno. Il compenso viene pattuito sul luogo del reclutamento e può essere a giornata o a cottimo, ovvero per numero di cassette di frutta o verdura raccolte. Nel foggiano, ad esempio, un bracciante straniero guadagna dai 4 ai 6 euro per raccogliere un cassone di pomodori da 350 chili.

La maggioranza degli stranieri impiegati come stagionali vive in condizioni igieniche e sanitarie drammatiche, in un stato di povertà estrema e di esclusione sociale. Migliaia di immigrati sono arrangiati in alloggi di fortuna, ruderi di campagna o fabbriche abbandonate, strutture fatiscenti prive di alcun servizio minimo (acqua, luce, bagni). La quasi totalità degli intervistati risulta privo di tessera sanitaria e non è iscritto al servizio sanitario nazionale.

La vostra arancia, se proveniente dall’agro-industria, porta con sé tutto ciò,le cui cause profonde possono essere comprese solo risalendo alle politiche agricole degli ultimi 60 anni.

Dal secondo dopoguerra, infatti, le scelte dei governi, protese verso modernizzazione e sviluppo, hanno segnato drasticamente le sorti dell’agricoltura: “modernizzazione forzata, cementificazione delle terre agricole, espropriazione dei saperi contadini presentati come puro folklore o esempi di arretratezza culturale, e imposizioni di norme igienico-sanitarie studiate per l’agroindustria, il tutto unito alle difficoltà sempre maggiori ad avere un reddito dignitoso”[1].

A fronte di tutto ciò, centinaia di migliaia di contadini hanno lasciato le loro terre e si sono riversati nelle città per lavorare in fabbrica e nei servizi oppure hanno preso la volta delle zone agricole industrializzate. L’agricoltura passa da contadina a industriale, le campagne si svuotano le città si riempiono.

Con la nascita del WTO, agricoltura, allevamento e pesca assumono un valore circoscritto al solo portato economico, senza tenere conto degli effetti sui consumatori e sui produttori.

I paradossi aperti da una simile strategia di sviluppo sono ben sintetizzato dal relatore speciale dell’ONU per il diritto al cibo, che così si esprime: “gli obblighi relativi ai diritti umani dei membri del WTO e gli impegni assunti tramite sottoscrizione degli accordi quadro del WTO restano non concordanti”.

La politica comunitaria ha seguito questa via favorendo la concentrazione e l'industrializzazione della produzione agricola europea, una sorta di ritorno al latifondo, intensificando da un lato l’impoverimento e la scomparsa di molti contadini, dall’altro l'aumento dello sfruttamento dei lavoratori.

A ciò va aggiunto l’influenza della grande distribuzione organizzata che dagli anni '80 diventa il sistema dominante di commercializzazione dei prodotti alimentari, diffondendo così i propri principi, quali la razionalizzazione dei processi produttivi e la massimizzazione dei profitti.

Nel corso degli ultimi trenta anni si è assistito così a un processo di concentrazione e alla nascita di cartelli, in grado di mettere in scacco sia i coltivatori sia i consumatori. Si tratta del fenomeno descritto come spirale della crescita dei supermercati: le economie di scala sono in grado di esercitare pressione sui coltivatori, affinché abbassino i loro prezzi. D’altro canto i consumatori che si affidano alla grande industria per ottenere i prezzi più bassi, spendono la maggior parte del proprio budget per costi di distribuzione. Il risultato è l’aumento dei prezzi per il consumatore e l’abbassamento dei profitti per il produttore[2].

Soluzioni per rivalutare e apprezzare maggiormente questa arancia per concludere la nostra serata sono molteplici, quella che vi proponiamo noi non è la più semplice né la più scontata, essa parte nel rivendicare, con le parole del coordinamento Europeo della Via Campesina:



- l'istituzione di un aiuto speciale per le piccole aziende, riconoscendo la loro funzione economica, sociale e di salvaguardia del territorio;

- l'istituzione, nell'ambito della Politica Agricola Comune, della condizionalità degli aiuti legati al rispetto del diritto del lavoro;

- il divieto per gli Stati a favore o sovvenzionare gli agricoltori che non rispettino i loro obblighi in quanto datori di lavoro;

- la politica agricola comune preveda l'istituzione di un osservatorio per monitorare le condizioni di impiego della manodopera stagionale;

- la firma, la ratifica e l'attuazione da parte di tutti i paesi europei della convenzione internazionale sui lavoratori migranti;

- la firma, la ratifica e l'attuazione da parte di tutti i paesi europei della convenzione internazionale n. 184 per la sicurezza e la salute in agricoltura della Organizzazione Internazionale del Lavoro;

- la regolarizzazione dei lavoratori agricoli e dei lavoratori senza documenti.



“Quella situazione triste ce la portiamo nel nostro cuore, così come voi nel vostro. Noi siamo persone come voi. Vogliamo lavorare per vivere, come voi. Siamo in difficoltà quando non c’è lavoro, come voi. Emigriamo per trovare lavoro come tanti di voi in passato e ancora oggi. Abbiamo famiglie, madri, fratelli, figli, come voi. Siamo qui per cercare una vita migliore, non per creare problemi. Per questo vi diciamo che non dovete avere paura di noi. L’emigrazione è una risorsa, economica, culturale… un’occasione di cui approfittare, noi e voi. Chi in questi giorni ha parlato di noi diffondendo la paura è responsabile per le sue parole.”

Lettera aperta dei braccianti africani alla città di Rosarno




[1] F. Garbarono, L’agricoltura contadina nel mondo e le migrazioni, Creating Coherence on Trade and Development – Ong M.A.I.S., 2011.


[2] tra il 1990 e il 2008 in Francia il prezzo al consumo di carne è salito del 50%, quello pagato ai produttori è sceso del 15%. In Italia il grano (vd. p. 13). Secondo Coldiretti il 60% del prodotto va alla distribuzione, il 23% all'industria di trasformazione, il 17% all'agricoltore.


Nessun commento:

Posta un commento